Il “naufragio” è la figura simbolica utilizzata da Karl Jaspers per definire il senso ultimo dell’esistenza umana: l’esistenza è il divenire che ci porta al limite e a sperimentare delle “situazioni-limite” nel “mare aperto” della vita. Il “mare aperto” è la complessità della nostra vita nel fluire del tempo. Vivere e lottare nel mare aperto della vita non significa però farsi travolgere inevitabilmente dal naufragio. Come ha osservato Viktor Frankl, è sorprendente e incoraggiante vedere come le persone, anche estremamente ferite, possano fiorire dopo aver vissuto delle situazioni-limite: scoprono le loro capacità, le potenzialità più profonde fino a quel momento nascoste nell’ombra. È come se, dopo la grande scossa della vita, trovassero il potenziale più puro e idiosincratico che vive in loro. E dopo averlo trovato, decidono di vivere sulla base di questo, senza perderlo lungo la strada, mostrando e condividendo con il resto degli umani quanto di più profondo e autentico è potenzialmente connaturato nel loro essere. Per quante cicatrici possa lasciarci una situazione-limite, noi sappiamo nel profondo di noi stessi che essa infonde vita a un’intera altra parte di noi. È l’atto di volontà di resistere alla disperazione che annienta la disperazione. Quella disperazione, che è accettazione lacerante, e che porta alla rinuncia, intesa qui come sacrificio. Disperazione che nasce da un inesauribile conflitto interiore o da una opposizione inconciliabile. La spiritualità della lotta nel “mare aperto” della vita è una spiritualità che trasforma il cambiamento in conversione, l’isolamento e la solitudine in indipendenza e la tenebra in speranza, che fa compiere alla paura quel passo in più verso il coraggio, che sa estrarre dalla vulnerabilità, dalle imperfezioni e dai nostri limiti, la libertà propria dell’accettazione di sé, che fa fronte allo sfinimento e ci insegna il valore profondo e autentico del resistere, che tocca le cicatrici e ne conosce il potere per determinare la nostra trasformazione interiore. In questo orizzonte, ritroviamo nuove forze e una rinnovata percezione di noi stessi, nuova compassione e ancora il senso di uno scopo nella vita. È la lotta nel “mare aperto” della vita ad essere fondamento della speranza. La lotta consiste nell’attraversare le tenebre dello spirito, la nera notte dell’anima, come la chiamavano gli antichi: il processo per cui perdiamo ogni cosa. È il momento della nostra personale crocifissione, è il momento in cui diamo voce alla nostra paura più grande: sperimentare la soglia e arrivare al punto-limite della nostra esistenza.
I fenomeni-soglia e le situazioni-limite
GENTILE A
Writing – Original Draft Preparation
2021-01-01
Abstract
Il “naufragio” è la figura simbolica utilizzata da Karl Jaspers per definire il senso ultimo dell’esistenza umana: l’esistenza è il divenire che ci porta al limite e a sperimentare delle “situazioni-limite” nel “mare aperto” della vita. Il “mare aperto” è la complessità della nostra vita nel fluire del tempo. Vivere e lottare nel mare aperto della vita non significa però farsi travolgere inevitabilmente dal naufragio. Come ha osservato Viktor Frankl, è sorprendente e incoraggiante vedere come le persone, anche estremamente ferite, possano fiorire dopo aver vissuto delle situazioni-limite: scoprono le loro capacità, le potenzialità più profonde fino a quel momento nascoste nell’ombra. È come se, dopo la grande scossa della vita, trovassero il potenziale più puro e idiosincratico che vive in loro. E dopo averlo trovato, decidono di vivere sulla base di questo, senza perderlo lungo la strada, mostrando e condividendo con il resto degli umani quanto di più profondo e autentico è potenzialmente connaturato nel loro essere. Per quante cicatrici possa lasciarci una situazione-limite, noi sappiamo nel profondo di noi stessi che essa infonde vita a un’intera altra parte di noi. È l’atto di volontà di resistere alla disperazione che annienta la disperazione. Quella disperazione, che è accettazione lacerante, e che porta alla rinuncia, intesa qui come sacrificio. Disperazione che nasce da un inesauribile conflitto interiore o da una opposizione inconciliabile. La spiritualità della lotta nel “mare aperto” della vita è una spiritualità che trasforma il cambiamento in conversione, l’isolamento e la solitudine in indipendenza e la tenebra in speranza, che fa compiere alla paura quel passo in più verso il coraggio, che sa estrarre dalla vulnerabilità, dalle imperfezioni e dai nostri limiti, la libertà propria dell’accettazione di sé, che fa fronte allo sfinimento e ci insegna il valore profondo e autentico del resistere, che tocca le cicatrici e ne conosce il potere per determinare la nostra trasformazione interiore. In questo orizzonte, ritroviamo nuove forze e una rinnovata percezione di noi stessi, nuova compassione e ancora il senso di uno scopo nella vita. È la lotta nel “mare aperto” della vita ad essere fondamento della speranza. La lotta consiste nell’attraversare le tenebre dello spirito, la nera notte dell’anima, come la chiamavano gli antichi: il processo per cui perdiamo ogni cosa. È il momento della nostra personale crocifissione, è il momento in cui diamo voce alla nostra paura più grande: sperimentare la soglia e arrivare al punto-limite della nostra esistenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.