Comunicare la cultura per promuovere talenti e spazi di espressione Cosa significa oggi "fare cultura", se essa non è da intendersi come bene superfluo o accessorio, o privilegio per pochi, ma come condizione irrinunciabile per la formazione di un pensiero critico, consapevole del mondo che abita, preparato ad affrontare le sfide che il futuro apre, in grado di confrontarsi con l'altro, allora fare cultura significherà certamente produzione e organizzazione, ma anche trasmissione dell'informazione, quindi comunicazione. Si tratta di trovare, dunque, modalità adeguate per coinvolgere le diverse realtà, pubbliche e private, del territorio sulla base di progetti condivisi per riuscire così a proporre servizi culturali di qualità e fruibili per il maggior numero di cittadini, grandi e piccoli. Ciò che ci pare centrale per la nostra attività è la promozione e realizzazione di una rete di iniziative rivolte al pubblico più piccolo, convinti che tale attenzione costruisca un investimento verso i cittadini del futuro; la promozione di talenti giovanili per noi fondamentale al fine di fornire loro nuove ed effettive opportunità di espressione; la valorizzazione dei talenti delle donne quale impegno per il riconoscimento del ruolo che esse occupano nella produzione di cultura, riconoscimento necessario perché è ancora grande la distanza tra ciò che le donne danno al paese e ciò che dal paese esse ricevono. Oltre all'impegno per il riconoscimento della varietà delle proposte e la loro realizzazione, da quelle maggiormente rivolte ad un pubblico di specialisti, a quelle di divulgazione ed intrattenimento, vi è la necessità di non perdere di vista la funzione di coordinamento che ci spetta da un punto di vista istituzionale, ma anche di rafforzare quelle attività promozionali che hanno oggi a disposizione molteplici strumenti offerti dai sistemi di diffusione delle notizie: dalla pubblicazione di news cartacee, ai siti web, alla mailing list, oltre alle forme più tradizionali dell'informazione giornalistica. Pensiamo che le diverse possibilità offerte dalla comunicazione siano particolarmente importanti poiché permettono di raggiungere un pubblico eterogeneo che utilizza gli strumenti informativi in modo diverso; ma siamo anche consapevoli che nell'abbondanza spesso frastornante delle notizie, delle informazioni, delle iniziative sia sempre più necessario curare gli aspetti qualitativi della comunicazione stessa, cosa che mette in gioco la creatività anche per un Ente pubblico, più abituato invece ad una comunicazione di tipo amministrativo e burocratico. Fare cultura oggi non è da intendersi come attività ludica o superflua, o privilegio per pochi, ma come condizione irrinunciabile per la formazione di un pensiero critico e consapevole del mondo che abita, e quindi produzione, organizzazione e trasmissione di informazioni sul territorio a favore del maggior numero di cittadini, grandi e piccoli curando gli aspetti qualitativi della comunicazione stessa, cosa che mette in gioco la creatività. Conoscere da un punto di vista ambientale e storico-culturale il territorio in cui si vive, rappresenta una fondamentale e decisiva esperienza formativa per chiunque perché leggere il territorio, coglierlo nei suoi contenuti estetico-paesaggistici, conoscere la propria storia, significa approfondire la cultura, i valori e la vita della dimensione locale in cui ciascun individuo è inserito e, sulla base della quale, ciascuno costruisce la propria identità di essere sociale e culturale. Significa, altresì, entrare in contatto con quel patrimonio di umanità che costituisce l’eredità morale e sociale di chi ci ha preceduto, prendere coscienza delle potenzialità e delle risorse che la realtà circostante offre, in una parola progettare un futuro tanto consapevole del presente quanto fortemente radicato nel passato. Ricostruendo la consapevolezza della realtà e della cultura di appartenenza, si comprende la propria identità culturale e umana; si capisce di essere inseriti in un territorio non per un caso di genetica, ma con precise connotazioni di comportamento, di aspirazioni, di interessi; si dà un senso agli accadimenti di ieri, testimonianza di valori che potrebbero anche essere di oggi; si cresce insieme nel rispetto dell’ambiente che ci accoglie, per dar senso a ciascuna operazione culturale che in sé chiuda una dirompente proposta di avanzamento . Appare dunque chiaro, che il territorio nella sua articolata e complessa organizzazione sociale, nelle sue ricchezze ambientali e monumentali e, soprattutto, nelle espressioni culturali della tradizione storica, linguistica, artistica, religiosa, diventa un’occasione di crescita imprescindibile. Il territorio come “paesaggio culturale” Il territorio come prodotto storico di un millenario rapporto fra comunità umane e spazio fisico, diventa «spazio umano» , cioè frutto di un lavoro compiuto dall’uomo intervenendo sulla natura per spartire, ordinare, sistemare la realtà in modo confacente ai suoi bisogni. Esso diventa, altresì, il contenitore di tutte le manifestazioni della civiltà umana, di tutto ciò che lo spirito umano ha potuto creare, dell’insieme di quei beni (artistici, archeologici, ambientali, etnografici, folklorici, ecc.) visibili e percepibili nel paesaggio, che sono definiti beni culturali, attraverso i quali è possibile ricostruire percorsi di significato e capire le trame del tempo, dello spazio, delle mentalità e dei valori trascorsi. Per questo ogni insediamento, piccolo o grande che sia, è un libro aperto in cui si può leggere la storia degli uomini che in esso hanno vissuto e vivono. Il territorio, letto nell’ottica dei beni culturali, si identifica nel concetto di “paesaggio culturale” , vale a dire nell’insieme dei segni che la cultura umana ha lasciato e lascia nello spazio. Essi sono indicatori di scelte, valori, convinzioni, di esigenze contingenti, di risposte a problemi di sussistenza, di lavoro, ecc., in una varietà che solo la ricchezza della vita può esprimere. Riguardano l’ambiente urbano come l’ambiente contadino o naturale e si presentano in organizzazione sistematica (sistema di segni) come fonti di informazioni da leggere attraverso uno o più codici interpretativi. La storia delle civiltà e dei trapassi epocali nel lento scorrere del tempo è sancita dal sottile intrecciarsi di pensiero e materialità che è il presupposto per la produzione di ogni bene culturale. Il recupero della nostra storia, e insieme di quei valori positivi che le sue tracce lasciano, diventa, dunque, un atto di avvaloramento per qualsivoglia testimonianza dell’impegno intellettuale e materiale dell’uomo. Si tratta di un recupero che richiede l’individuazione, il reperimento, la catalogazione, la conservazione e la fruizione del bene culturale in sé e che, evidenziando di questo le molteplici dimensioni valoriali, finisce per implicare la rivendicazione del momento educativo. La nozione di “bene culturale” tra riconoscimento giuridico ed evoluzione semantica La nozione di “bene culturale” usata per la prima volta nella Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (L’Aja, maggio 1954) , ha tendenzialmente sostituito in Italia la nozione più descrittiva di «patrimonio storico e artistico» (art. 9 della Costituzione). La progressiva evoluzione semantica e giuridica subita dall’idea di bene culturale, consente di individuare due poli concettuali contrapposti e distinti: 1) una concezione sostanzialmente idealistica, secondo la quale, può assurgere al rango di bene culturale solo il capolavoro, l’oggetto dal riconosciuto valore artistico, il cui elevato pregio lo rende conoscibile ed apprezzabile soltanto per una ristretta élite di uomini di cultura; 2) una nozione di bene culturale più ampia, includente, non solo le più elevate espressioni del patrimonio artistico, archeologico, storico, architettonico, librario e archivistico, ma anche tutte quelle testimonianze della civiltà umana che l’uomo del futuro ha il dovere di ricordarsi per tutelarle, ed il diritto di conservare per continuare a goderle. Sulla tutela delle cose d’arte e delle bellezze naturali, si trova affermato, secondo M.S. Giannini, il principio per cui bisogna preservare, per il godimento degli uomini del presente e del futuro, alcune cose che hanno un particolare pregio dal punto di vista artistico, storico e naturale […] con riguardo ai beni singoli, posti alla base delle due leggi fondamentali, la legge 1° giugno 1939 n. 1089 di tutela delle cose di interesse artistico e storico, e la legge 29 giugno 1939 n. 1497, di protezione delle bellezze naturali, sulle quali ancora oggi si regge il complesso delle disposizioni sulla tutela dei beni culturali e ambientali e, in definitiva, anche il significato della costituzionalizzazione del concetto di bene culturale. Con l’entrata in vigore della Costituzione italiana, il bene si è trasformato da reperto museale o ambientalistico in “strumento di promozione culturale”; i due commi dell’art. 9 riconoscono, infatti, tra i compiti istituzionali della Repubblica, il dovere di promuovere lo sviluppo della cultura attraverso quelli che la Costituzione considera, unitariamente, i beni culturali della Nazione, vale a dire il paesaggio, il patrimonio storico, il patrimonio artistico. Art. 9 Cost. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Mentre il 2° comma sembra prevedere una compiuta regolamentazione legislativa ed amministrativa da parte del potere pubblico, del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, il 1° comma, intendendo la cultura e la scienza come ricerca, impone al potere pubblico interventi non di tutela, bensì di promozione . E’ possibile, dunque, desumere due principi che l’art. 9 introduce: a) il primo, di tipo interventistico, che impegna il potere politico ad ingerirsi direttamente nello sviluppo-tutela della cultura; b) il secondo, di tipo garantista, che per quanto riguarda la cultura-ricerca, impegna il potere politico a porre in essere solamente le condizioni di un “forte” sviluppo culturale. Promuovere lo sviluppo della cultura significa, per la Repubblica, provvedere alla tutela, conservazione e valorizzazione dei beni che sono testimonianza culturale ed assumono rilievo strumentale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi, sia per il loro valore culturale intrinseco, sia per il riferimento alla storia della civiltà e del costume anche locale, garantendo, al tempo stesso, alla collettività il godimento dei valori culturali espressi da tali beni . L’art. 9 della Costituzione, ricollegando alla promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica la tutela tanto dei beni artistico-storici quanto di quelli paesaggistici, mostra di identificare la cultura non tanto con il patrimonio culturale della nazione complessivamente considerato, quanto, più concretamente, con la formazione intellettuale dell’individuo, attraverso un processo educativo inteso nel senso più ampio, comprensivo dell’acquisizione di ogni valore, sebbene puramente estetico, capace di sollecitare ed arricchire la sensibilità della persona . In tal senso, promuovere lo sviluppo della cultura significa esaltarne la libertà, riconoscendo quanto essa possa direttamente contribuire allo sviluppo della persona umana. Tuttavia, ciò sarà possibile soltanto garantendo la fruizione del bene culturale, ecco perché è la fruizione il fine nonché l’elemento essenziale e caratterizzante dei beni culturali; mancando questa, viene meno la giustificazione primaria della qualità di bene culturale, e poiché la fruizione non consiste soltanto nella mera possibilità di accesso ai beni ma coinvolge la capacità di intenderne il corrispettivo valore intrinseco di cultura e di civiltà, la fruizione del bene culturale deve intendersi come un processo di apprendimento tanto nelle fasce adolescenziali quanto in quelle adulte. Oltre ai beni artistici e storici, archeologici e museali, archivistici e librari, è necessario prendere in considerazione anche i beni culturali ambientali e paesaggistici la cui particolarità geologica, flori-faunistica, ecologica, di cultura agraria, di infrastrutturazione del territorio e le medesime strutture insediative integrate con l’ambiente naturale, rendono elementi vitali della nostra cultura, e che pertanto vanno tutelati, valorizzati ed intelligentemente fruiti . Il disegno di legge n. 1974 del ministro Gullotti (30 luglio 1984), stabilì nuove norme per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Tale disegno di legge esprimeva una visione nuova, aperta e propositiva di bene culturale, segnando, in maniera definitiva, il superamento della concezione estetizzante che era alla base delle due leggi del 1939. Al primo articolo del documento si legge una definizione ormai famosa: «Sono beni culturali e ambientali le cose di interesse archeologico, architettonico, storico, artistico, archivistico, librario, audiovisivo, ambientale, demoantropologico che rappresentino ― sia individualmente sia in aggregazione ― manifestazioni significative della creatività, della conoscenza, del costume, del lavoro dell’uomo, dell’ambiente storico, geologico e paleontologico, evidenziando il fatto che un bene culturale non è soltanto un oggetto o elemento artistico, ma anche opera e testimonianza del lavoro artigianale, agricolo, tecnico dell’uomo . In tempi più recenti, tali istanze sono state confermate e sostenute dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali" che al Titolo I, art. 2, dichiara: Sono beni culturali disciplinati a norma di questo Titolo: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, o demo-etno-antropologico; b) le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante; c) le collezioni o serie di oggetti che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico; d) i beni archivistici; e) i beni librari . Nonché gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli e gli altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista; […] le aree pubbliche, aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale; le fotografie e gli esemplari delle opere cinematografiche, audiovisive o sequenze di immagini in movimento o comunque registrate, nonché le documentazioni di manifestazioni sonore o verbali comunque registrate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni; i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni; i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni. E’ stata, pertanto, definitivamente abbandonata la concezione idealistica dell’arte come momento dello spirito, e dell’opera d’arte come prodotto unico ed irripetibile, eccepibile perfino, essendo valore assoluto e universale, dal proprio contesto storico. Troppe perdite ha comportato questa concezione aristocratica: tutto il lascito dell’antico artigianato e del folklore, il tessuto vitale della città, la monumentalità minore (cappelle rurali, masserie, trappeti, ecc.), vengono, finalmente, recuperati al loro valore culturale, al loro valore di testimonianza storica nel senso più globale, rilevandone la consistenza materiale, i significati ideologici, la collocazione originaria, la relazione con gli altri oggetti dello stesso contesto, lo stato di conservazione, gli interventi subiti, e così via. Tale conquista è l’esito del riferimento della nozione di bene culturale al concetto antropologico di cultura intesa come patrimonio oggettivo di elementi astratti (l’insieme di valori, simboli, modelli di comportamento, regole, linguaggi) e di elementi concreti (oggetti, strumenti di lavoro, libri, opere d’arte). Nella cosiddetta “svolta antropologica” la cultura viene despiritualizzata : il monumento viene posto sullo stesso piano dell’utensile, l’opera d’arte è altrettanto culturale quanto un arnese contadino o un canto popolare, un modo di arare un campo o di arredare una casa. Ciò comporta una rivalutazione di quella che si suole oggi chiamare ‘cultura materiale’, ossia di tutta la vasta gamma di produzioni-manifestazioni umane più legate ai bisogni materiali e alle esigenze operative del fare, per cui non è più dato trascurare di inserire, all’interno di una catalogazione il più possibile completa dei beni culturali, quell’insieme piuttosto vario di ulteriori espressioni culturali che riprendono alcune costanti tipiche dell’evoluzione delle civiltà. Un primo riferimento riguarda l’artigianato, ovvero le attività produttive che non si riconducono alla lavorazione in serie propria dell’industria, ma restano entro i confini di una tradizione la cui salvaguardia dipende anche dal modo in cui ogni cittadino è educato a coglierla e a valorizzarla. Il pezzo artigianale dà la dimensione del tempo; colto in tutta la sua unicità ed irripetibilità, nelle sue relazioni d’uso e di scambio, nel tipo di materiale di cui è composto, diventa occasione per ripensare alla vita di un tempo, ai suoi ritmi e ai suoi significati. Ad esso è affiancabile il design industriale comprendente oggetti che, pur essendo stati prodotti in serie, presentano specifici requisiti tecnici ed estetici caratterizzanti la cultura del Novecento: i musei accettano al loro interno pezzi ormai classici del design degli anni Venti, al fine di comprenderne le tappe di progettazione e realizzazione. Alle testimonianze della cultura manifatturiera e industriale di questo secolo e di quelli passati si aggiungono altre attestazioni della nostra storia che risalgono a quella particolare forma di cultura popolare che è il folklore. Questo rappresenta, di per se stesso, un bene culturale di imponente valore qualora si pensi che i costumi, le usanze, le feste della collettività, i riti religiosi e tante altre manifestazioni della vita di un popolo, quali la letteratura, l’arte, le credenze e lo stesso rapporto con il mito, ci giungono attraverso quel complesso di «antichità popolari» che definiamo folklore e che la demologia e la demoantropologia sono chiamate a studiare. Il termine fu coniato dall’archeologo William John Thoms, meglio noto con lo pseudonimo di Ambrogio Merton (1803-85), il quale utilizzò due antiche parole sassoni: folk = popolo e lore = sapere; quindi, alla lettera, folklore = sapere del popolo. Come principio limitativo del concetto si cerca di usare una determinata mentalità definita “associativa” alla quale si deve il nascere e il propagarsi di ciò che costituisce il contenuto del folklore, ovvero di tutte le espressioni di quell’unica forza spirituale delle collettività umane che è la tradizione molto spesso intrecciata ai dialetti e alla musica popolare o la danza tipica di una regione, come è il caso della pizzica recentemente riscoperta, apprezzata per le sue valenze artistico-culturali e per la sua forza rievocativa dello spirito del tempo che l’ha prodotta. Come si vede, l’intreccio dei segni attraverso cui la cultura ci parla si compone di un tessuto di interconnessioni davvero ampio ed aperto alle più diverse interpretazioni, ma la struttura unificatrice della cultura va cercata nel territorio ed i beni culturali stessi, vanno colti nella loro unità culturale, evitando lo sradicamento dal territorio entro il quale prendono corpo, svelandosi nelle loro peculiarità ed esprimendo, più autenticamente, i sensi, i valori e i modelli identitari di cui si rendono portatori. La promozione di una presa di coscienza, appare particolarmente necessaria nel nostro Mezzogiorno dove urge un intervento politico e educativo per la tutela e la valorizzazione di ogni bene culturale, ed è facile dedurre come spetti alla scuola e agli enti operanti nei vari settori dei beni culturali ― musei e biblioteche, teatri ed archivi, cineteche e pinacoteche, sovrintendenze ed enti privati ― l’oneroso impegno di educare le proprie utenze, non solo a conoscere il bene culturale loro offerto, ma a prenderne diretto contatto, a studiarlo, a classificarlo, «imparando a produrre cultura passando attraverso la cultura» : non è importante il bene culturale in sé e per sé; è importante la vitalità di esso, la sua produttività culturale, considerando la cultura come una vera e propria risorsa.

Diritto e comunicazione del patrimonio culturale

Bosna C
2019-01-01

Abstract

Comunicare la cultura per promuovere talenti e spazi di espressione Cosa significa oggi "fare cultura", se essa non è da intendersi come bene superfluo o accessorio, o privilegio per pochi, ma come condizione irrinunciabile per la formazione di un pensiero critico, consapevole del mondo che abita, preparato ad affrontare le sfide che il futuro apre, in grado di confrontarsi con l'altro, allora fare cultura significherà certamente produzione e organizzazione, ma anche trasmissione dell'informazione, quindi comunicazione. Si tratta di trovare, dunque, modalità adeguate per coinvolgere le diverse realtà, pubbliche e private, del territorio sulla base di progetti condivisi per riuscire così a proporre servizi culturali di qualità e fruibili per il maggior numero di cittadini, grandi e piccoli. Ciò che ci pare centrale per la nostra attività è la promozione e realizzazione di una rete di iniziative rivolte al pubblico più piccolo, convinti che tale attenzione costruisca un investimento verso i cittadini del futuro; la promozione di talenti giovanili per noi fondamentale al fine di fornire loro nuove ed effettive opportunità di espressione; la valorizzazione dei talenti delle donne quale impegno per il riconoscimento del ruolo che esse occupano nella produzione di cultura, riconoscimento necessario perché è ancora grande la distanza tra ciò che le donne danno al paese e ciò che dal paese esse ricevono. Oltre all'impegno per il riconoscimento della varietà delle proposte e la loro realizzazione, da quelle maggiormente rivolte ad un pubblico di specialisti, a quelle di divulgazione ed intrattenimento, vi è la necessità di non perdere di vista la funzione di coordinamento che ci spetta da un punto di vista istituzionale, ma anche di rafforzare quelle attività promozionali che hanno oggi a disposizione molteplici strumenti offerti dai sistemi di diffusione delle notizie: dalla pubblicazione di news cartacee, ai siti web, alla mailing list, oltre alle forme più tradizionali dell'informazione giornalistica. Pensiamo che le diverse possibilità offerte dalla comunicazione siano particolarmente importanti poiché permettono di raggiungere un pubblico eterogeneo che utilizza gli strumenti informativi in modo diverso; ma siamo anche consapevoli che nell'abbondanza spesso frastornante delle notizie, delle informazioni, delle iniziative sia sempre più necessario curare gli aspetti qualitativi della comunicazione stessa, cosa che mette in gioco la creatività anche per un Ente pubblico, più abituato invece ad una comunicazione di tipo amministrativo e burocratico. Fare cultura oggi non è da intendersi come attività ludica o superflua, o privilegio per pochi, ma come condizione irrinunciabile per la formazione di un pensiero critico e consapevole del mondo che abita, e quindi produzione, organizzazione e trasmissione di informazioni sul territorio a favore del maggior numero di cittadini, grandi e piccoli curando gli aspetti qualitativi della comunicazione stessa, cosa che mette in gioco la creatività. Conoscere da un punto di vista ambientale e storico-culturale il territorio in cui si vive, rappresenta una fondamentale e decisiva esperienza formativa per chiunque perché leggere il territorio, coglierlo nei suoi contenuti estetico-paesaggistici, conoscere la propria storia, significa approfondire la cultura, i valori e la vita della dimensione locale in cui ciascun individuo è inserito e, sulla base della quale, ciascuno costruisce la propria identità di essere sociale e culturale. Significa, altresì, entrare in contatto con quel patrimonio di umanità che costituisce l’eredità morale e sociale di chi ci ha preceduto, prendere coscienza delle potenzialità e delle risorse che la realtà circostante offre, in una parola progettare un futuro tanto consapevole del presente quanto fortemente radicato nel passato. Ricostruendo la consapevolezza della realtà e della cultura di appartenenza, si comprende la propria identità culturale e umana; si capisce di essere inseriti in un territorio non per un caso di genetica, ma con precise connotazioni di comportamento, di aspirazioni, di interessi; si dà un senso agli accadimenti di ieri, testimonianza di valori che potrebbero anche essere di oggi; si cresce insieme nel rispetto dell’ambiente che ci accoglie, per dar senso a ciascuna operazione culturale che in sé chiuda una dirompente proposta di avanzamento . Appare dunque chiaro, che il territorio nella sua articolata e complessa organizzazione sociale, nelle sue ricchezze ambientali e monumentali e, soprattutto, nelle espressioni culturali della tradizione storica, linguistica, artistica, religiosa, diventa un’occasione di crescita imprescindibile. Il territorio come “paesaggio culturale” Il territorio come prodotto storico di un millenario rapporto fra comunità umane e spazio fisico, diventa «spazio umano» , cioè frutto di un lavoro compiuto dall’uomo intervenendo sulla natura per spartire, ordinare, sistemare la realtà in modo confacente ai suoi bisogni. Esso diventa, altresì, il contenitore di tutte le manifestazioni della civiltà umana, di tutto ciò che lo spirito umano ha potuto creare, dell’insieme di quei beni (artistici, archeologici, ambientali, etnografici, folklorici, ecc.) visibili e percepibili nel paesaggio, che sono definiti beni culturali, attraverso i quali è possibile ricostruire percorsi di significato e capire le trame del tempo, dello spazio, delle mentalità e dei valori trascorsi. Per questo ogni insediamento, piccolo o grande che sia, è un libro aperto in cui si può leggere la storia degli uomini che in esso hanno vissuto e vivono. Il territorio, letto nell’ottica dei beni culturali, si identifica nel concetto di “paesaggio culturale” , vale a dire nell’insieme dei segni che la cultura umana ha lasciato e lascia nello spazio. Essi sono indicatori di scelte, valori, convinzioni, di esigenze contingenti, di risposte a problemi di sussistenza, di lavoro, ecc., in una varietà che solo la ricchezza della vita può esprimere. Riguardano l’ambiente urbano come l’ambiente contadino o naturale e si presentano in organizzazione sistematica (sistema di segni) come fonti di informazioni da leggere attraverso uno o più codici interpretativi. La storia delle civiltà e dei trapassi epocali nel lento scorrere del tempo è sancita dal sottile intrecciarsi di pensiero e materialità che è il presupposto per la produzione di ogni bene culturale. Il recupero della nostra storia, e insieme di quei valori positivi che le sue tracce lasciano, diventa, dunque, un atto di avvaloramento per qualsivoglia testimonianza dell’impegno intellettuale e materiale dell’uomo. Si tratta di un recupero che richiede l’individuazione, il reperimento, la catalogazione, la conservazione e la fruizione del bene culturale in sé e che, evidenziando di questo le molteplici dimensioni valoriali, finisce per implicare la rivendicazione del momento educativo. La nozione di “bene culturale” tra riconoscimento giuridico ed evoluzione semantica La nozione di “bene culturale” usata per la prima volta nella Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (L’Aja, maggio 1954) , ha tendenzialmente sostituito in Italia la nozione più descrittiva di «patrimonio storico e artistico» (art. 9 della Costituzione). La progressiva evoluzione semantica e giuridica subita dall’idea di bene culturale, consente di individuare due poli concettuali contrapposti e distinti: 1) una concezione sostanzialmente idealistica, secondo la quale, può assurgere al rango di bene culturale solo il capolavoro, l’oggetto dal riconosciuto valore artistico, il cui elevato pregio lo rende conoscibile ed apprezzabile soltanto per una ristretta élite di uomini di cultura; 2) una nozione di bene culturale più ampia, includente, non solo le più elevate espressioni del patrimonio artistico, archeologico, storico, architettonico, librario e archivistico, ma anche tutte quelle testimonianze della civiltà umana che l’uomo del futuro ha il dovere di ricordarsi per tutelarle, ed il diritto di conservare per continuare a goderle. Sulla tutela delle cose d’arte e delle bellezze naturali, si trova affermato, secondo M.S. Giannini, il principio per cui bisogna preservare, per il godimento degli uomini del presente e del futuro, alcune cose che hanno un particolare pregio dal punto di vista artistico, storico e naturale […] con riguardo ai beni singoli, posti alla base delle due leggi fondamentali, la legge 1° giugno 1939 n. 1089 di tutela delle cose di interesse artistico e storico, e la legge 29 giugno 1939 n. 1497, di protezione delle bellezze naturali, sulle quali ancora oggi si regge il complesso delle disposizioni sulla tutela dei beni culturali e ambientali e, in definitiva, anche il significato della costituzionalizzazione del concetto di bene culturale. Con l’entrata in vigore della Costituzione italiana, il bene si è trasformato da reperto museale o ambientalistico in “strumento di promozione culturale”; i due commi dell’art. 9 riconoscono, infatti, tra i compiti istituzionali della Repubblica, il dovere di promuovere lo sviluppo della cultura attraverso quelli che la Costituzione considera, unitariamente, i beni culturali della Nazione, vale a dire il paesaggio, il patrimonio storico, il patrimonio artistico. Art. 9 Cost. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Mentre il 2° comma sembra prevedere una compiuta regolamentazione legislativa ed amministrativa da parte del potere pubblico, del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, il 1° comma, intendendo la cultura e la scienza come ricerca, impone al potere pubblico interventi non di tutela, bensì di promozione . E’ possibile, dunque, desumere due principi che l’art. 9 introduce: a) il primo, di tipo interventistico, che impegna il potere politico ad ingerirsi direttamente nello sviluppo-tutela della cultura; b) il secondo, di tipo garantista, che per quanto riguarda la cultura-ricerca, impegna il potere politico a porre in essere solamente le condizioni di un “forte” sviluppo culturale. Promuovere lo sviluppo della cultura significa, per la Repubblica, provvedere alla tutela, conservazione e valorizzazione dei beni che sono testimonianza culturale ed assumono rilievo strumentale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi, sia per il loro valore culturale intrinseco, sia per il riferimento alla storia della civiltà e del costume anche locale, garantendo, al tempo stesso, alla collettività il godimento dei valori culturali espressi da tali beni . L’art. 9 della Costituzione, ricollegando alla promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica la tutela tanto dei beni artistico-storici quanto di quelli paesaggistici, mostra di identificare la cultura non tanto con il patrimonio culturale della nazione complessivamente considerato, quanto, più concretamente, con la formazione intellettuale dell’individuo, attraverso un processo educativo inteso nel senso più ampio, comprensivo dell’acquisizione di ogni valore, sebbene puramente estetico, capace di sollecitare ed arricchire la sensibilità della persona . In tal senso, promuovere lo sviluppo della cultura significa esaltarne la libertà, riconoscendo quanto essa possa direttamente contribuire allo sviluppo della persona umana. Tuttavia, ciò sarà possibile soltanto garantendo la fruizione del bene culturale, ecco perché è la fruizione il fine nonché l’elemento essenziale e caratterizzante dei beni culturali; mancando questa, viene meno la giustificazione primaria della qualità di bene culturale, e poiché la fruizione non consiste soltanto nella mera possibilità di accesso ai beni ma coinvolge la capacità di intenderne il corrispettivo valore intrinseco di cultura e di civiltà, la fruizione del bene culturale deve intendersi come un processo di apprendimento tanto nelle fasce adolescenziali quanto in quelle adulte. Oltre ai beni artistici e storici, archeologici e museali, archivistici e librari, è necessario prendere in considerazione anche i beni culturali ambientali e paesaggistici la cui particolarità geologica, flori-faunistica, ecologica, di cultura agraria, di infrastrutturazione del territorio e le medesime strutture insediative integrate con l’ambiente naturale, rendono elementi vitali della nostra cultura, e che pertanto vanno tutelati, valorizzati ed intelligentemente fruiti . Il disegno di legge n. 1974 del ministro Gullotti (30 luglio 1984), stabilì nuove norme per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Tale disegno di legge esprimeva una visione nuova, aperta e propositiva di bene culturale, segnando, in maniera definitiva, il superamento della concezione estetizzante che era alla base delle due leggi del 1939. Al primo articolo del documento si legge una definizione ormai famosa: «Sono beni culturali e ambientali le cose di interesse archeologico, architettonico, storico, artistico, archivistico, librario, audiovisivo, ambientale, demoantropologico che rappresentino ― sia individualmente sia in aggregazione ― manifestazioni significative della creatività, della conoscenza, del costume, del lavoro dell’uomo, dell’ambiente storico, geologico e paleontologico, evidenziando il fatto che un bene culturale non è soltanto un oggetto o elemento artistico, ma anche opera e testimonianza del lavoro artigianale, agricolo, tecnico dell’uomo . In tempi più recenti, tali istanze sono state confermate e sostenute dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali" che al Titolo I, art. 2, dichiara: Sono beni culturali disciplinati a norma di questo Titolo: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, o demo-etno-antropologico; b) le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante; c) le collezioni o serie di oggetti che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico; d) i beni archivistici; e) i beni librari . Nonché gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli e gli altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista; […] le aree pubbliche, aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale; le fotografie e gli esemplari delle opere cinematografiche, audiovisive o sequenze di immagini in movimento o comunque registrate, nonché le documentazioni di manifestazioni sonore o verbali comunque registrate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni; i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni; i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni. E’ stata, pertanto, definitivamente abbandonata la concezione idealistica dell’arte come momento dello spirito, e dell’opera d’arte come prodotto unico ed irripetibile, eccepibile perfino, essendo valore assoluto e universale, dal proprio contesto storico. Troppe perdite ha comportato questa concezione aristocratica: tutto il lascito dell’antico artigianato e del folklore, il tessuto vitale della città, la monumentalità minore (cappelle rurali, masserie, trappeti, ecc.), vengono, finalmente, recuperati al loro valore culturale, al loro valore di testimonianza storica nel senso più globale, rilevandone la consistenza materiale, i significati ideologici, la collocazione originaria, la relazione con gli altri oggetti dello stesso contesto, lo stato di conservazione, gli interventi subiti, e così via. Tale conquista è l’esito del riferimento della nozione di bene culturale al concetto antropologico di cultura intesa come patrimonio oggettivo di elementi astratti (l’insieme di valori, simboli, modelli di comportamento, regole, linguaggi) e di elementi concreti (oggetti, strumenti di lavoro, libri, opere d’arte). Nella cosiddetta “svolta antropologica” la cultura viene despiritualizzata : il monumento viene posto sullo stesso piano dell’utensile, l’opera d’arte è altrettanto culturale quanto un arnese contadino o un canto popolare, un modo di arare un campo o di arredare una casa. Ciò comporta una rivalutazione di quella che si suole oggi chiamare ‘cultura materiale’, ossia di tutta la vasta gamma di produzioni-manifestazioni umane più legate ai bisogni materiali e alle esigenze operative del fare, per cui non è più dato trascurare di inserire, all’interno di una catalogazione il più possibile completa dei beni culturali, quell’insieme piuttosto vario di ulteriori espressioni culturali che riprendono alcune costanti tipiche dell’evoluzione delle civiltà. Un primo riferimento riguarda l’artigianato, ovvero le attività produttive che non si riconducono alla lavorazione in serie propria dell’industria, ma restano entro i confini di una tradizione la cui salvaguardia dipende anche dal modo in cui ogni cittadino è educato a coglierla e a valorizzarla. Il pezzo artigianale dà la dimensione del tempo; colto in tutta la sua unicità ed irripetibilità, nelle sue relazioni d’uso e di scambio, nel tipo di materiale di cui è composto, diventa occasione per ripensare alla vita di un tempo, ai suoi ritmi e ai suoi significati. Ad esso è affiancabile il design industriale comprendente oggetti che, pur essendo stati prodotti in serie, presentano specifici requisiti tecnici ed estetici caratterizzanti la cultura del Novecento: i musei accettano al loro interno pezzi ormai classici del design degli anni Venti, al fine di comprenderne le tappe di progettazione e realizzazione. Alle testimonianze della cultura manifatturiera e industriale di questo secolo e di quelli passati si aggiungono altre attestazioni della nostra storia che risalgono a quella particolare forma di cultura popolare che è il folklore. Questo rappresenta, di per se stesso, un bene culturale di imponente valore qualora si pensi che i costumi, le usanze, le feste della collettività, i riti religiosi e tante altre manifestazioni della vita di un popolo, quali la letteratura, l’arte, le credenze e lo stesso rapporto con il mito, ci giungono attraverso quel complesso di «antichità popolari» che definiamo folklore e che la demologia e la demoantropologia sono chiamate a studiare. Il termine fu coniato dall’archeologo William John Thoms, meglio noto con lo pseudonimo di Ambrogio Merton (1803-85), il quale utilizzò due antiche parole sassoni: folk = popolo e lore = sapere; quindi, alla lettera, folklore = sapere del popolo. Come principio limitativo del concetto si cerca di usare una determinata mentalità definita “associativa” alla quale si deve il nascere e il propagarsi di ciò che costituisce il contenuto del folklore, ovvero di tutte le espressioni di quell’unica forza spirituale delle collettività umane che è la tradizione molto spesso intrecciata ai dialetti e alla musica popolare o la danza tipica di una regione, come è il caso della pizzica recentemente riscoperta, apprezzata per le sue valenze artistico-culturali e per la sua forza rievocativa dello spirito del tempo che l’ha prodotta. Come si vede, l’intreccio dei segni attraverso cui la cultura ci parla si compone di un tessuto di interconnessioni davvero ampio ed aperto alle più diverse interpretazioni, ma la struttura unificatrice della cultura va cercata nel territorio ed i beni culturali stessi, vanno colti nella loro unità culturale, evitando lo sradicamento dal territorio entro il quale prendono corpo, svelandosi nelle loro peculiarità ed esprimendo, più autenticamente, i sensi, i valori e i modelli identitari di cui si rendono portatori. La promozione di una presa di coscienza, appare particolarmente necessaria nel nostro Mezzogiorno dove urge un intervento politico e educativo per la tutela e la valorizzazione di ogni bene culturale, ed è facile dedurre come spetti alla scuola e agli enti operanti nei vari settori dei beni culturali ― musei e biblioteche, teatri ed archivi, cineteche e pinacoteche, sovrintendenze ed enti privati ― l’oneroso impegno di educare le proprie utenze, non solo a conoscere il bene culturale loro offerto, ma a prenderne diretto contatto, a studiarlo, a classificarlo, «imparando a produrre cultura passando attraverso la cultura» : non è importante il bene culturale in sé e per sé; è importante la vitalità di esso, la sua produttività culturale, considerando la cultura come una vera e propria risorsa.
2019
9788884317308
comunicazione
cultura
diritto
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