Le proteste per la condizione delle donne in Iran rappresentano un fenomeno complesso e significativo che ha attirato l'attenzione dell’opinione pubblica a livello nazionale e internazionale e riflette la complessità delle sfide affrontate dalle donne nel contesto di una società che sta attraversando cambiamenti sociali, culturali e politici. Mentre alcuni sostengono che le riforme sono necessarie per garantire una maggiore parità di genere, altri ritengono che tali cambiamenti possano minacciare la stabilità sociale e la tradizione culturale. Sul piano internazionale, l'Iran svolge un ruolo significativo nelle dinamiche geopolitiche del Medio Oriente. Sostiene gruppi alleati in Siria, Libano, Iraq e Yemen, contribuendo alle tensioni regionali. Le relazioni con paesi come l'Arabia Saudita sono spesso tese a causa di rivalità geopolitiche e confessionali. La questione è pertanto complessa e coinvolge diversi aspetti, tra cui la politica interna, le relazioni internazionali e le questioni nucleari, essendo saltato il Joint Comprehensive Plan of Action l’accordo del 2015 che prevedeva limitazioni al programma nucleare in cambio della rimozione delle sanzioni economiche. Sul piano dei Diritti umani e politica interna, l'Iran ha affrontato critiche per violazioni dei diritti umani e limitazioni alle libertà civili. La repressione politica interna e le restrizioni alla libertà di stampa sono state questioni importanti. Recentemente, le manifestazioni di protesta, inizialmente provocate dalla morte della giovane studentessa Mahsa Amini, avvenuta mentre era trattenuta dalla polizia morale di Teheran, si sono trasformate in moti di dissenso contro l’obbligo del velo e l’oppressione delle libertà personali e dei diritti civili da parte delle autorità iraniane. Accanto al girdo “donne, vita e libertà” risuona anche quello “morte al dittatore”, con riferimento alla Guida Suprema Ali Khamenei. Come evidenza Pejman Abdolmohammadi, Associate Research Fellow all’ISPI e professore all’ Università di Trento, le parole d’ordine dei manifestanti sono libertà e laicità. Il dissenso ha ormai varcato i confini dello Stato Islamico e manifestazioni di solidarietà si sono moltiplicate in tutto il mondo. 80mila persone sono scese in strada a Berlino per chiedere l’inasprimento delle sanzioni internazionali contro il regime iraniano e scandendo lo slogan “donne, vita e libertà”. Su pressione di organizzazioni in difesa dei diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch, le Nazioni Unite hanno deciso la creazione di un gruppo d’indagine per investigare le violazioni dei diritti umani legate alla repressione del dissenso nel paese. L’utilizzo della forza da parte del governo si è intensificato fino a raggiungere l’apice son l’esecuzione di condanne a morte di manifestanti, uccisi per impiccagione a seguito di una sentenza di colpevolezza per “moharebeh” (inimicizia contro dio). Gruppi di diritti umani hanno denunciato il fatto che le esecuzioni sarebbero avvenute in seguito a processi sommari, tenutisi a porte chiuse e terminati con sentenze farsa. L’Internet è il canale che ha permesso una diffusione ampia e rapida del movimento in tutto il paese, l’hashtag #MahsaAmini continua a essere tra i più visualizzati ed è con il passa parola su internet che le persone vengono a conoscenza dei raduni e si organizzano per scendere in piazza. Le autorità iraniane hanno però interrotto l’accesso a internet in tutto il Paese, ed il Consiglio di sicurezza nazionale iraniano ha bloccato diverse applicazioni di messaggistica e social media, fra cui WhatsApp e Instagram, violando ancora una volta il diritto alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni, oltre che il diritto alla libertà di riunione pacifica e associazione, sanciti dal Trattato ONU sui diritti politici e civili, di cui l’Iran è paese firmatario. Gli slogan usati nelle proteste rivelano quindi la sfiducia di una parte della popolazione nella possibilità di riformare il sistema politico iraniano. Secondo i manifestanti, l’ingerenza del regime nella vita privata dei cittadini e la repressione del dissenso politico hanno oltrepassato il limite. Chi protesta vuole la caduta del regime e chiede un cambio di struttura politica. Quella contro il velo è solo la punta dell’iceberg di un’insubordinazione diventata totale e rivolta contro il dominio teocratico iraniano.

La comunicazione della protesta in Iran tra controllo e repressione

Bosna C
2024-01-01

Abstract

Le proteste per la condizione delle donne in Iran rappresentano un fenomeno complesso e significativo che ha attirato l'attenzione dell’opinione pubblica a livello nazionale e internazionale e riflette la complessità delle sfide affrontate dalle donne nel contesto di una società che sta attraversando cambiamenti sociali, culturali e politici. Mentre alcuni sostengono che le riforme sono necessarie per garantire una maggiore parità di genere, altri ritengono che tali cambiamenti possano minacciare la stabilità sociale e la tradizione culturale. Sul piano internazionale, l'Iran svolge un ruolo significativo nelle dinamiche geopolitiche del Medio Oriente. Sostiene gruppi alleati in Siria, Libano, Iraq e Yemen, contribuendo alle tensioni regionali. Le relazioni con paesi come l'Arabia Saudita sono spesso tese a causa di rivalità geopolitiche e confessionali. La questione è pertanto complessa e coinvolge diversi aspetti, tra cui la politica interna, le relazioni internazionali e le questioni nucleari, essendo saltato il Joint Comprehensive Plan of Action l’accordo del 2015 che prevedeva limitazioni al programma nucleare in cambio della rimozione delle sanzioni economiche. Sul piano dei Diritti umani e politica interna, l'Iran ha affrontato critiche per violazioni dei diritti umani e limitazioni alle libertà civili. La repressione politica interna e le restrizioni alla libertà di stampa sono state questioni importanti. Recentemente, le manifestazioni di protesta, inizialmente provocate dalla morte della giovane studentessa Mahsa Amini, avvenuta mentre era trattenuta dalla polizia morale di Teheran, si sono trasformate in moti di dissenso contro l’obbligo del velo e l’oppressione delle libertà personali e dei diritti civili da parte delle autorità iraniane. Accanto al girdo “donne, vita e libertà” risuona anche quello “morte al dittatore”, con riferimento alla Guida Suprema Ali Khamenei. Come evidenza Pejman Abdolmohammadi, Associate Research Fellow all’ISPI e professore all’ Università di Trento, le parole d’ordine dei manifestanti sono libertà e laicità. Il dissenso ha ormai varcato i confini dello Stato Islamico e manifestazioni di solidarietà si sono moltiplicate in tutto il mondo. 80mila persone sono scese in strada a Berlino per chiedere l’inasprimento delle sanzioni internazionali contro il regime iraniano e scandendo lo slogan “donne, vita e libertà”. Su pressione di organizzazioni in difesa dei diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch, le Nazioni Unite hanno deciso la creazione di un gruppo d’indagine per investigare le violazioni dei diritti umani legate alla repressione del dissenso nel paese. L’utilizzo della forza da parte del governo si è intensificato fino a raggiungere l’apice son l’esecuzione di condanne a morte di manifestanti, uccisi per impiccagione a seguito di una sentenza di colpevolezza per “moharebeh” (inimicizia contro dio). Gruppi di diritti umani hanno denunciato il fatto che le esecuzioni sarebbero avvenute in seguito a processi sommari, tenutisi a porte chiuse e terminati con sentenze farsa. L’Internet è il canale che ha permesso una diffusione ampia e rapida del movimento in tutto il paese, l’hashtag #MahsaAmini continua a essere tra i più visualizzati ed è con il passa parola su internet che le persone vengono a conoscenza dei raduni e si organizzano per scendere in piazza. Le autorità iraniane hanno però interrotto l’accesso a internet in tutto il Paese, ed il Consiglio di sicurezza nazionale iraniano ha bloccato diverse applicazioni di messaggistica e social media, fra cui WhatsApp e Instagram, violando ancora una volta il diritto alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni, oltre che il diritto alla libertà di riunione pacifica e associazione, sanciti dal Trattato ONU sui diritti politici e civili, di cui l’Iran è paese firmatario. Gli slogan usati nelle proteste rivelano quindi la sfiducia di una parte della popolazione nella possibilità di riformare il sistema politico iraniano. Secondo i manifestanti, l’ingerenza del regime nella vita privata dei cittadini e la repressione del dissenso politico hanno oltrepassato il limite. Chi protesta vuole la caduta del regime e chiede un cambio di struttura politica. Quella contro il velo è solo la punta dell’iceberg di un’insubordinazione diventata totale e rivolta contro il dominio teocratico iraniano.
2024
Iran, proteste, democrazia, diritto, diritti
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14241/8266
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